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Telecommedia, capitolo quarto. Lo stupro di Telecom Italia

Affari Italiani

14-08-2014  | Link http://m.affaritaliani.it/fattieconti/telecommedia-capitolo-quarto080814.html?page=3 Invia Invia mail ad un amico Stampa Stampa

Affaritaliani.it ripercorre un anno vissuto pericolosamente, sulle montagne russe, da Telecom, un tempo fiore all’occhiello dell’imprenditoria italiana e che, dopo la tristemente famosa “opa a debito” di Colaninno e Gnutti, è diventata un gigante con i piedi d’argilla. Un romanzo a puntate che ripasserà la sua storia più recente.

Ci eravamo lasciati sulle parole di Alierta che garantiva investimenti. Ebbene, Telecom ne avrebbe un enorme bisogno, dal momento che fa un certo effetto leggere i dati della catastrofe. Si è sempre parlato di “spolpamento” e di distruzione di valore. Ma leggere che nel 1999, ovvero poco prima dell’Opa (a debito) fatta dalla cordata guidata da Roberto Colaninno, i dipendenti in Telecom Italia erano 120.000, le partecipate estere 30, il patrimonio immobiliare valeva 10 miliardi di euro e il rapporto tra il debito e il fatturato era del 20% fa molta rabbia. Perché in quindici anni si sono persi circa 70.000 posti di lavoro e negli ultimi 7 anni il fatturato domestico è crollato da 22 a 16 miliardi di euro. Questo nonostante Telecom, all’inizio degli anni ’90, fosse una delle realtà più importanti, a livello mondiale, nel settore delle telecomunicazioni, tanto da creare un’innovazione unica nel suo genere come la carta prepagata. Eppure, e qui forse ha ragione l’ingegner Gamberale, abbiamo assistito per anni a uno “stupro” (il termine, forte, è copyright del gran capo del fondo F2i) mentre il governo (anzi, i governi, di tutti i colori) guardavano dall’altra parte. Prima della stagione delle privatizzazioni, l’Italia era una potenza industriale. Ora, piaccia o meno, non lo è più.

In un convegno (svoltosi nel dicembre scorso) organizzato da Asati, l’associazione che tutela gli interessi dei piccoli azionisti di Telecom Italia, Franco Bernabè ha provato a spiegare i motivi che l’hanno portato a decidere di uscire da Telecom, raccontando anche qualche retroscena: “Nella mia testimonianza al cda, quando ho rassegnato le mie dimissioni, ho fatto l'esame dei motivi per cui TI è in stallo e ho spiegato le ragioni storiche. Per risolvere i problemi ci sono due vie: una è quella di finanziare il rilancio degli investimenti e la patrimonializzazione attraverso un robusto aumento di capitale. In queste condizioni di mercato c'è la possibilità di sanare i problemi che da 15 anni affliggono l’ex-Sip. Al momento c'è un eccesso di liquidità che permetterebbe di fare un aumento di capitale. Ma la situazione non durerà in eterno: con il riassorbimento da parte della Fed e poi della Bce della liquidità, saliranno i tassi e si chiuderà la possibilità di sistemare i problemi. Il titolo è stato penalizzato dal fatto che tutti sapevano che io volevo fare aumento di capitale. Ma io ho dato anche un'alternativa: introdurre un investitore strategico e che quindi esercitasse una modesta diluizione degli azionisti. Né l'una né l'altra ipotesi sono state accettate. TI ha bisogno di fare investimenti a lunghissima prospettiva. Quando mi sono accorto che con la Cdp non si riusciva ad arrivare a una opportunità di rilancio ho premuto l'acceleratore sull'aumento di capitale. Quando alle commissioni riunite del senato ho detto di aver appreso le condizioni dell'accordo da comunicato stampa, non a mia insaputa ma accelerandone i tempi perché tutti sapevano che io ero contrario, preferivo la dissoluzione di Telco perché diventasse una public company. La strada che si è scelta non risolve i problemi di Telecom Italia. Io non sono contrario a una fusione tra TI e Telefonica, se fatto su basi europee in modo che divenga un player globale. Ma la scelta che è stata fatta è incerta quanto all'esito finale. TI verrà ridotto a un mero soggetto italiano”.

Nel frattempo, Marco Fossati, con l’appoggio di Asati e di altri piccoli azionisti, chiede che nell’assemblea del 20 dicembre 2013 venga messo all’ordine del giorno la revoca del consiglio di amministrazione. Una proposta che viene accettata, ma il consiglio rimane al suo posto, anche se per una manciata di voti. Fossati però non molla la presa e, in vista dell’assemblea di aprile che dovrà pronunciarsi sul rinnovo del consiglio di amministrazione, inizia a cercare di radunare intorno a sé alcuni “tecnici” che siano disposti a lottare per il bene di Telecom. Uno su tutti è Vito Gamberale, già amministratore delegato di Sip, direttore generale di Telecom e ora amministratore delegato del fondo infrastrutturale F2i. Ma all’orizzonte c’è già un nuovo fronte che si apre: è quello relativo alla cessione di Tim Brasil, l’azienda che in questo momento sta producendo utili significativi ma che gli spagnoli di Telefonica (anche perché in possesso di un’altra azienda carioca) vogliono vendere a tutti i costi.

   
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